giovedì 26 luglio 2007

Nirvana

Discografia dei Nirvana

1989 : Bleach
1991 : Nevermind
1992 : Incesticide
1993 : In Utero
1993 : Hormoaning
1994 : Umplugged in New York
1995 : Single Box
1996 : From the Muddy Banks
2002 : Nirvana
2004 : Whit the Lights Out
2005 : Sliver

I Nirvana sono il gruppo più rappresentativo del movimento grunge. In pochi anni e con una manciata di album all’attivo, sono riusciti a imporsi come la vera leggenda della scena di Seattle, riuscendo a interpretare l’umore di un’intera generazione e trasformando l’alternative rock in un fenomeno di massa. Il sacrificio del loro leader, Kurt Cobain, ha certamente alimentato il mito, ma l’impatto della musica dei Nirvana sugli anni ’90 è indiscutibile e si può paragonare per certi versi a quello avuto dagli Rem e dagli U2 sul decennio precedente.

Le radici delle band sono individuabili nell'ambiente dei loro colleghi Melvins. Ispirandosi a loro, Kurt Cobain (canto e chitarra), Chris Novoselic (basso) e Chad Channing (batteria) formano i Nirvana e iniziano a suonare usando proprio la strumentazione di seconda mano dei Melvins. In realtà, nessuno dei tre è di Seattle: Cobain è nato a Hoquiam (Washington), Novoselic e Channing sono californiani. Ma i loro dischi, insieme a quelli di Pearl Jam e Soundgarden, trasformeranno questa piccola città del Nord-Ovest degli States in una fabbrica di successi miliardari.

Dopo aver pubblicato il 45 giri “Love Buzz/Big Cheese” per l'etichetta simbolo della scena cittadina, la Sub Pop Records, i Nirvana esordiscono a 33 giri con Bleach (1989). Cobain si rivela subito l’anima del gruppo. Le sue capacità compositive, in bilico tra John Lennon e Sid Vicious, emergono da pezzi come “About A Girl”, una ballata che preannuncia l'esistenzialismo e la vena desolata del suo stile, ma anche da prototipi grunge come “School”, “Blew” e la cover “Love Buzz” che fissano subito i parametri del sound Nirvana degli anni a venire. Un sound duro e spigoloso, che mescola il blues-rock sporco di Rolling Stones e Stooges con la tradizione hard-rock (dai Led Zeppelin agli Aerosmith) e con il fervore hardcore di Husker Du e Pixies. Il disco e la successiva tournée garantiscono alla band un buon successo e la incoraggiano a proseguire, malgrado già affiorino i problemi di salute psico-fisica del suo leader.

Ingaggiato alla batteria Dave Grohl (Warren, Ohio), il trio firma con la major Geffen e, nel settembre 1991, pubblica Nevermind. Prodotto da Butch Vig e mixato da Andy Wallace, è un disco destinato a entrare di diritto nei classici di sempre.

Pochi album, nella storia del rock, hanno infatti saputo incarnare con la stessa intensità gli umori e le ansie di un'intera generazione. Eppure Kurt Cobain, a registrazioni ultimate, non era soddisfatto.

Non perdonava a Gary Gersh e a Andy Wallace, rispettivamente discografico e produttore, di aver voluto mettere le mani sul materiale, accentuandone dinamica e profondità, e smussandone gli angoli. Stava commettendo un errore colossale. Proprio l'equilibrio, infatti, è il segreto di questo lavoro, capace di mescolare con le giuste proporzioni hard-rock e melodia, asprezza del suono e nitidezza degli arrangiamenti, furia punk iconoclasta e malinconia esistenziale. La peculiarità dei Nirvana è di saper associare al sarcasmo nichilista del punk un talento melodico sconosciuto a gran parte delle formazioni che emergono nello stesso periodo. E poi ci sono i testi: una perfetta fusione fra musica e vita, in grado di creare una simbiosi mitica fra artista e pubblico che tocca il suo apice in “Smell like teen spirit”, il grido rabbioso che apre l'opera e rimarrà negli annali a simboleggiare lo spirito, apatico e sarcastico, di un'intera generazione (lo rivisiterà anche in un'interessante versione "sensuale" Tori Amos).

Rinunciando in parte alla durezza del precedente “Bleach”, Cobain dà sfogo ai suoi demoni in una serie di ballate nevrotiche, che ricordano da vicino quelle del suo grande maestro, Neil Young. Ascoltare per credere pezzi come “In Bloom”, “Lithium” e “On A Plain”, che donano al disco un tormentato vigore. Ma a conquistare il pubblico sono anche l'autobiografica “Come As You Are”, il lamento acustico di “Polly”, il bisbiglio moribondo di “Something In The Way”. L'album (quasi 10 milioni di copie vendute, contro le 30mila dell'esordio) diventerà uno dei maggiori successi discografici di tutti i tempi, senza alienare tuttavia ai Nirvana le simpatie delle frange più "dure e pure" del loro pubblico. L'urlo di Cobain, quasi distaccato, ma al tempo stesso vivo e struggente, diventa in breve tempo uno dei simboli più potenti del rock di fine secolo. E la musica di Seattle porta alla luce un'altra America, popolata di giovani disadattati e inquieti che, da underground, assurgono improvvisamente a fenomeni di costume.

Nel dicembre 1992 la Geffen pubblica Incesticide, raccolta di rarità registrate alla BBC, singoli inediti su album e versioni alternative. Poi, nel settembre del 1993, dopo una serie di speculazioni sullo stato di salute di Cobain, esce In Utero. Prodotto da Steve Albini, guru della scena alternative e del punk più duro, il disco viene inciso in due sole settimane. È una miscela di canzoni rabbiose e desolate (“Rape Me”, “Serve The Servants”, “Pennyroyal Tea” e, soprattutto, “All Apologies”, ripresa poi anche da Sinéad O’Connor) e di esagitate esplosioni rumoristiche al limite della cacofonia (“Scentless Apprentice”, “Frances Farmer Will Have Her Revenge On Seattle”, “Milk It” e l'autoironica “Radio Friendly Unit Shifter”). Molto più debole di “Nevermind”, l’album riflette soprattutto l’odissea personale di Cobain, sposatosi nel frattempo con Courtney Love delle Hole. E’ la testimonianza di un cupo, inguaribile senso di impotenza e fatalismo.

Il disco ottiene un buon successo di vendite, anche se aliena in parte al gruppo le simpatie di quella "Mtv generation" che li aveva consumati come l’ennesima “sensazione” del momento. Ma proprio su Mtv i Nirvana ripropongono, in un’affascinante chiave acustica, molti dei loro successi, incidendo il fortunatissimo Unplugged in New York. Testimonianza di un concerto del novembre 1993, l’album svela l’anima sofferente delle canzoni di Cobain. Spogliati degli orpelli hard-rock, i brani dei Nirvana si rivelano struggenti confessioni di un incurabile disagio esistenziale. Un’atmosfera di tragedia imminente pervade le rivisitazioni di “Pennyroyal Tea”, “All Apologies”, “Come As You Are” e “About A Girl”. Ma a dare nerbo al disco sono anche alcune cover come “The Man Who Sold The World” di David Bowie, “Lake Of Fire” e “Oh Me” dei Meat Puppets e una straziante versione del classico di Leadbelly “Where Did You Sleep Last Night”. Nello stesso periodo, la Geffen pubblica anche la videocassetta “Live! Tonight! Soldout!”, una storia musicale nervosa e ironica dei Nirvana ricostruita con spezzoni di interviste e filmati amatoriali alternati ad alcune esibizioni dal vivo. La dimensione più selvaggia ed elettrica dei concerti della band di Seattle sarà invece testimoniata dal live From the muddy banks of Wishkah.

Ma il successo non servirà a guarire il biondo idolo punk di Seattle. Come prima di lui Jimi Hendrix e Jim Morrison, anche Kurt Cobain porterà ad estreme conseguenze la sua autodistruzione. Dopo lunghi e dolorosi mesi dedicati a un tour europeo, l'8 aprile 1994 il leader dei Nirvana si toglie la vita con un colpo di pistola, consacrandosi per sempre al culto dei fan. Nel suo messaggio d’addio, un epitaffio: “It’s better to burn out than to fade away”, “meglio bruciarsi che svanire a poco a poco”. E’ un verso di "My my, hey hey", la canzone del suo maestro Neil Young. Un anno dopo, il cantautore canadese renderà omaggio alla memoria del suo discepolo dedicandogli "Sleep With Angels".

Neanche Kurt Cobain sfuggirà purtroppo all'immancabile operazione commerciale post-mortem, che porterà alla "riesumazione" del suo ultimo brano prima del suicidio, "You Know You're Right", allo scopo di vendere qualche copia in più dell'antologia The Best Of Nirvana (tredici classici della formazione di Seattle). E su altri presunti 109 brani inediti, nascosti in qualche cassaforte, è già iniziata la battaglia legale tra Courtney Love, Krist Novoselic e Dave Grohl. "Capisci, ci sono un sacco di soldi di mezzo", ha ammesso la Love. Ma è solo l'ennesimo litigio sulle briciole dei defunti nella storia del rock.



( si ringrazia " Onda Rock " per la biografia )

sabato 21 luglio 2007

System of a Down

Discografia dei System of a Down :

1998 : System of a Down
2001 : Toxicity
2002 : Steal This Album
2005 : Mezmerize
2005 : Hypnotize




Il loro nome nasce dalla fusione fra il vocabolo "System" e una poesia, "Victim of a Down", come a voler dire "la forza unita all'arte". La musica dei System Of A Down si può riconoscere in questo contrasto.
E' il 1993 quando Serj Tankian (voce) e Daron Malakian (chitarra), due giovani di origine armene, si conoscono tramite le rispettive band che registravano nello stesso studio a Los Angeles. Hanno gusti musicali convergenti e decidono cos' di formare un gruppo, i Soil, ingaggiando Shavo Odadjian sia come bassista e chitarrista, sia come loro manager. Nel 1995 avviene la svolta con la formazione ufficiale dei System Of A Down: Serj e Daron rispettivamente alla voce e alla chitarra, mentre Shavo si dedica unicamente al basso, con la nuova e definitiva entrata di John Dolmayan alla batteria.
Le origini armene del gruppo hanno un ruolo importante nella natura della loro musica. Infatti, l'heavy metal e il punk-hardcore (Van Halen e Dead Kennedys le loro maggiori influenze), che costituiscono la base dei System Of A Down, vengono combinati con scale e sonorità di stampo medio-orientale, particolarmente valorizzate dalla voce versatile di Serj. Nel loro repertorio, però, si possono scovare anche testi rap, distorsioni degne del thrash-metal e versi che sfiorano il demenziale. In qualche intermezzo, si possono notare perfino malinconiche venature gothiche o manifestazioni para-jazz.
Il periodo delle prime produzioni dei System Of A Down coincide con la commercializzazione del crossover, che fa emergere una moltitudine di gruppi cosidetti nu-metal. Comunque, eccezion fatta per qualche caratteristica in comune (passaggi con ritmica vocale cadenzata), i System Of A Down non si inseriscono in questo minestrone, grazie alla grande varietà di influenze che compongono le loro canzoni.

Certamente non si possono paragonare o mettere sullo stesso piano con i Rage Against the Machine, come spesso capita di sentire. Si può azzardare l'idea di una sorta di rimpiazzo: se Serj non ha acquisito il testimone musicale di Zack de la Rocha, può darsi che abbia ricevuto l'eredità del suo ruolo mediatico e politico, capitanando un gruppo aggressivo, impegnato e unico nel suo genere.

Il primo album omonimo System Of A Down, prodotto da Rick Rubin per la American Recordings nel 1997, viene registrato nei Sound City Studios. La filosofia di base dei nostri consiste nell'evitare di seguire una linea sonora precisa e lasciare il progetto aperto a tutte le influenze che sentono proprie. Hanno la fortuna di trovare Rubin sulla loro stessa lunghezza d'onda, che accetta quasi tutto il materiale per come viene proposto (esegue solo qualche accorgimento in tonalità minore) e pubblica il disco con minimi arrangiamenti nel mixaggio finale. Questo anche per rispettare la loro volontà di avere un sound "live", che potesse dare il massimo di sé nelle esibizioni dal vivo.
È un debutto potente quello del 1998, ancora fortemente basato sull'heavy-metal, con il ruolo chiave della batteria che risalta nelle sue ritmiche veloci e martellanti. Purtroppo, complessivamente l'album risulta abbastanza monotono e, nonostante si percepiscano le prime sonorità ricercate, dà l'impressione di un lavoro immaturo, nel quale affiorano sì alcuni spunti originali, ma discontinui e mai adeguatamente valorizzati. Questi frammenti di talento si possono intravedere soprattutto in "Suggestions" e "Mind". La prima anticipa la tipica concezione musicale "multiforme" che il gruppo saprà esprimere al meglio nel suo secondo lavoro, la seconda svela il gioco di combinazioni fra suoni orientali (eseguiti con limpide note di chitarra) e momenti di pura violenza vocale. "Spiders", invece, mette ulteriormente in evidenza il canto di Serj Tankian, che, da urlo veemente sa farsi, a tratti, morbido bisbiglio.

L'album, comunque, ottiene un enorme successo (quasi un milione di copie vendute, disco d'oro negli Usa), grazie al momento favorevole per questo genere musicale e a una massiccia presenza live del gruppo, che si esibisce come in tanti concerti come spalla di formazioni metal di importanza mondiale.

Dopo tre anni di maturazione ed esperienza sul palco, i System Of A Down tornano nel 1998 con la pubblicazione di Toxicity per una major, la Sony. Le 14 tracce abbracciano le svariate influenze musicali dei membri della band che vanno dagli Slayer ai Beatles, dagli Smiths ai Depeche Mode fino ai Pink Floyd.
Si comincia subito col botto, con "Prison Song", una canzone che sembra esser nata per dimostrare la stazza del nuovo lavoro, una sorta di compendio di tutte le influenze che il disco cercherà di assorbire, ma soprattutto un saggio della potenza quasi metal del gruppo. Se "Needles" vira verso atmosfere più melodiche, "Deer Dance", canzone prettamente politica dai ritmi ossessivi e isterici, sembra quasi un ritorno al sound irruento dell'esordio. Dopo l'accoppiata di marca più "hardcore" rappresentata da "Jet Pilot" e "X", si arriva al fulcro dell'album, con il singolo "Chop Suey", la chicca dei System Of A Down, che combina perfettamente le urla disperate di un testo commovente con melodie suggestive, la distorsione con il suono pulito di Daron, le velocità assurde con la dolcezza di un raro inserto di piano. La nona traccia, "ATWA (Air, Trees, Water, Animals)", ispirata alla vicenda degli omicidi di Charles Manson, è un altro brano interessante, strutturato come una forma di ninna nanna alternata a boati di parole balbettate e a continui cambi di ritmo. Altra traccia da segnalare è "Shimmy", con le sue scale dal sapore mediorientale. Infine, un trittico di brani più orecchiabili, da Mtv: l'altro singolo "Toxicity", che combina parti melodiche con la rabbia politica condensata nel ritornello gridato, "Aerials", costruita sul fitto dialogo tra la voce di Tankian e la chitarra di Malakian, e la terrificante "Psycho" (stramba storia di groupie cocainomani), in cui Dolmayan si esibisce nel suo tocco demenziale. La hidden track "Arto" ripropone invece ambientazioni puramente tribali, a cura del poli-strumentista Arto Tuncboyaciyan, già al fianco di mostri sacri del jazz come Al DiMeola, Wayne Shorter e Chet Baker. Una curiosità: nel disco Tuncboyaciyan ha suonato di tutto, da una bottiglia vuota di Coca Cola, alle percussioni sul suo petto nudo, a un vaso pieno d'acqua.

Il passo in avanti effettuato con questo lavoro è notevole: oltre ad aver migliorato la qualità del suono, i System Of A Down si concentrano su una maggior personificazione dei brani, rendendoli unici e puntando molto, giustamente, sulla bella voce di Serj.
Purtroppo, come spesso capita con le band inesperte toccate dal successo, dopo l'exploit di Toxicity hanno avuto fretta. Fretta di ripetersi? Fretta per soldi? Fretta di fare politica? Proabilmente un po' di tutto, sta di fatto che nel 2002, a un solo anno di distanza, pubblicano il terzo album, Steal This Album (American Recordings), compiendo un deciso passo indietro. Se da una parte i momenti strumentalmente interessanti diminuiscono drasticamente, è evidente l'aumento di cori orecchiabili e sonorità immediate. Affiora, comunque, qualche sporadico inserto interessante come "Boom", sorta di cronaca parlata della società odierna, o "I-E-A-I-A-I-O", carina e originale, con un crescendo di cori orientali. Anche la malinconica "Highway Song", tutto sommato, si salva. C'è un buon tentativo di diversificazione in chiave acustica ("Ego Brain" e "Roulette") che però risulta fuori luogo in un disco che, come consiglia il titolo stesso, è meglio rubare, perché non vale la pena comprare.

Nell'insieme, i System Of A Down si possono definire un progetto con un buon potenziale, dimostrato soprattutto con Toxicity. Hanno il pregio di essere originali, con il loro mix fra i più svariati generi che però, in certi casi (Steal This Album), si trasforma in stereotipo, buono per sfornare canzoni a ciclo continuo, anche nei buchi d'ispirazione. Sicuramente hanno sfruttato il successo mediatico: per soldi, è l'opinione di alcuni, o a scopo politico-sociale, è la convinzione di altri. La verità è nella libera interpretazione di ognuno, come dichiara Serj Tankian, ostinatamente restio a tutte le etichette che gli continuano a essere attribuite.

Attesi da pubblico e critica alla prova del fuoco del terzo disco (escludendo la raccolta di outtake "Steal This Album"), nel 2005 i System Of A Down partoriscono Mezmerize, prima parte di un progetto destinato a completarsi sei mesi dopo con il gemello Hypnotize.
Il disco si presenta decisamente più poliedrico dei precedenti, le parti melodiche in alcuni casi sono quasi pop, la dicotomia tra i generi si fa più marcata. Dopo l'intro-ballad di "Soldier Side", si viene investiti dalla furia iniziale di "B.Y.O.B." nella quale si colgono già le prime novità e i primi rischi che i System hanno voluto correre in questo album. Rischiosa, in termini di possibili riscontri della critica, può essere la scelta di alcune parti del pop più commerciale a sottolineare, in questo pezzo, una sorta di disorientamento mentale che certa musica esercita sui giovani nascondendo loro i tanti orrori del mondo attuale. La novità, se così si può chiamare, sta nell'utilizzo più esteso e costante della voce del chitarrista Daron Malakian, più incline al metal classico, accanto a quella più eclettica e singolare del cantante Serj Tankian; nonostante il buon Serj, giustamente innamorato della propria dote, si produca in vocalizzi a volte troppo arditi, la scelta di quest'incrocio di voci sembra essere l'elemento più riuscito del disco. Mentre sia "Revenga" sia "Cigaro" si presentano in puro stile S.O.A.D., impeto metal interrotto da ritornelli melodici destinati a fissarsi nella mente, "Radio/Video" è una delle tracce in cui i System osano di più e, in definitiva, una delle migliori del disco: l'hard-rock non è più in primo piano, ma fa da intervallo a una filastrocca ethno-folk che diventa reggae, accelera per trasformarsi in danza gitana, e si conclude con un ultimo scoppio di potenza.
Se in alcuni passaggi musicali e nelle stramberie del testo di "This Cocaine Make Me Feel Like I'm On This Song", si può riconoscere un palese debito verso i Dead Kennedys, certi passaggi di "Violent Pornography" e "Sad Statue" richiamano senz'altro i Bad Religion: il risultato sono comunque tre brani che, nonostante qualche debolezza, rimangono senz'altro godibili. In mezzo a loro, si nasconde la seconda perla di "Mezmerize": sarà forse tra le tracce meno "ricercate" del disco, ma "Question!" è una ballata dal respiro epico, che offre la miglior prova tecnica di tutti e quattro i componenti del gruppo, primo su tutti il bravissimo batterista John Dolmayan. Più particolare è invece "Old School Hollywood", ibrido metal-new wave in cui effetti elettronici si amalgamano perfettamente con i crescendo di batteria e con le esplosioni chitarristiche, dando vita a un pezzo di assoluta presa e a uno dei migliori tentativi di "innovazione" del sound sperimentati in questo album dai System Of A Down. L'album si conclude in un clima di amara dolcezza con "Lost In Hollywood", una ballata malinconica affidata completamente a Daron che, supportato dal backing vocals di Serj, inveisce contro un mondo dorato fatto di falsità e privo di valori, concludendo l'album con una frase di sicuro impatto, ma che forse - e Malakian e soci lo sanno - si può rivolgere anche a parte del loro sempre più numeroso pubblico: "All you bitches put your hands in the air and waves like you just don't care".

Mezmerizesi rivela un buon disco, ottimamente suonato, di cui si possono dire tante cose: che sia più vendibile perché più melodico dei precedenti, che sia contraddittorio nello scagliarsi contro il vuoto pneumatico delle giovani menti da party utilizzando melodie di facili presa, ma che conferma anche che i System Of A Down sono un gruppo che non ha paura di rischiare e di mettersi in gioco. Nonostante tutto, insomma, il gruppo armeno resta una delle realtà più importanti del moderno scenario di metal e dintorni.

A distanza di sei mesi dall'uscita di Mezmerize, i System Of A Down completano il loro discusso progetto pubblicando il gemello Hypnotize. Nato dalle stesse sessioni del precedente, quest'ultimo lavoro si trascina dietro svariate polemiche giunte da ogni parte, che accusavano i rocker armeni di aver nascosto dietro teorie non ben spiegate quella che in realtà era una furba operazione commerciale. Tralasciando però l'aspetto di marketing e tornando alla forma puramente musicale, il disco si presenta per molti versi simile al suo predecessore, breve durata (nell'ordine della trentina di minuti), costituito di pezzi in puro stile S.O.A.D. e da altri in cui il gruppo di Tankian e Malakian cerca di percorrere vie diverse e più originali, con una generale inclinazione verso un approccio più melodico. Nel complesso, però, questo secondo lavoro è più debole, meno organico e troppo dispersivo, con almeno un paio di canzoni che paiono dei riempitivi e con i System che più volte paiono perdere il controllo. Presi dalla foga di cambiare continuamente ritmo e stile, Malakian e compagni tendono a esagerare, producendo canzoni che smarriscono la scorrevolezza e l'uniformità che possedevano pezzi come "Radio/Video". I singoli di uscita, ad esempio, dicono già molto: mentre "B.Y.O.B." era un pezzo che possedeva una buona carica e i cui inserti pop erano ben amalgamati all'interno della struttura metal, "Hypnotize" invece pare solamente un'innocua ballata rock in cui Malakian fa sfoggio della sua voce, meglio spesa però nelle tracce di Mezmerize.Le iniziali "Attack" e "Dreaming" sono abbastanza legate al suono tipico della band: imperniate sul furioso drumming di Dolmayan e sulla voce di Tankian, scorrono piacevoli nonostante la seconda si perda un po' nel finale.
"King Of Rock'n'Roll" è una di quelle tracce che potrebbe benissimo definirsi "riempitivo", "Stealing Society" e "U-Fig", nonostante alcune parti interessanti, sono canzoni comunque troppo confuse e sconnesse che, anche dopo svariati ascolti, non lasciano traccia nell'ascoltatore, mentre "Tentative" e "Holy Mountain" sono buone prove di cavalcate metal-progressive, che però non possiedono la forza e la bellezza essenziale che aveva "Question!" nell'album precedente. Seguono due tracce in cui Malakian e soci sembrano voler dar fondo a tutto il possibile per stupire gli ascoltatori, "Vicinity Of Obscenity" con il suo intervallare metal violento, ritmi quasi etnici e ritornelli pop, e "She's Like Heroin" che, anche grazie al suo testo straniante, risulta un divertissment à-la Jello Biafra.
Nel concludere il disco, i System Of A Down si lasciano prendere la mano definitivamente da un suono più melodico e sfornano due ballad, "Lonely Day", più malinconica e lieve, e "Soldier Side", continuum dell'intro presente su "Mezmerize", più cupa e disperata.

Si ha l'impressione netta che le indiscusse potenzialità del gruppo di Malakian e Tankian qui siano sprecate in un eccesso di idee assemblate male, con tanta voglia di cambiare (e stupire), ma senza possedere una vera ispirazione. Non si può proprio fare a meno di pensare al costo, al minutaggio e alla qualità di questo "Hypnotize", pensare poi a tutte le polemiche che hanno seguito l'iter di questo progetto e convincersi che, effettuando un'accurata cernita, il gruppo avrebbe potuto scartare molte delle canzoni di questo disco per dare alla luce un unico album insieme a quelle di Mezmerize.

( si ringrazia "Onda Rock" per la biografia )